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PADRE LINO, il 'Santo' dei Parmigiani

Aggiornamento: 16 dic 2023

Padre caritatevole, soprattutto verso i più miserabili e 'cattivi'

Galeotto è stato il libro sulla vita di San Francesco d'Assisi che lo zio vescovo gli regala per la Cresima. È così, infatti, che Alpinolo Ildebrando Umberto Maupas resta folgorato dalla figura di San Francesco, lui, figlio di famiglia aristocratica francese trapiantata in Croazia.

Poco dopo il suo ingresso nel convento di Kosljun, però, è costretto a tornare a casa perché i superiori lo ritengono inadatto alla vita religiosa, un po’ per la salute fragile, ma soprattutto per il suo carattere, giudicato pericolosissimo e di grande volubilità.

Uscito dal convento, riesce a trovare lavoro nella Guardia di Finanza, ma Alpinolo sogna di potervi rientrare, e così al giovane viene data una seconda possibilità, questa volta nel convento di Fucecchio, in Toscana, dove comincia il suo secondo noviziato con il nome di Padre Lino.

Nel dicembre 1890 prende i voti sacerdotali e viene spedito a Parma, dove resterà per tutta la vita, tanto da essere ancor oggi conosciuto come Padre Lino da Parma.

Padre Lino viene destinato all’antico convento dei Frati Francescani annesso alla Chiesa dell’Annunziata, uno dei monumenti più belli della città e denominata dagli abitanti il Duomo di Oltretorrente, di cui diviene cappellano per affiancare il parroco.

Purtroppo lo accompagna fin dall’infanzia una malattia agli occhi, per cui da un occhio non ci vede più e dall’altro poco. In compenso, il suo cuore vede molto bene i bisogni dei fratelli più miserabili.

Lo chiamano il frate dei morti, perché è lui a celebrare i funerali della povera gente, di quelli che non hanno nessuno, nemmeno per pagare le piccole spese delle onoranze funebri. Li va a cercare nei quartieri più malfamati e fatiscenti di Parma, dove neanche le guardie hanno il coraggio di entrare e dove i preti non sono graditi: solo per lui viene fatta un’eccezione, perché in quelle catapecchie Padre Lino non va a chiedere o a riscuotere, ma a portare. Dalle capaci tasche del suo saio, infatti, il frate tira fuori tozzi di pane, dolci e medicinali e tutto quanto riesce a recuperare dalla carità dei ricchi.

In convento lo sorvegliano a vista e sono obbligati a mettere sotto chiave la dispensa e il guardaroba, per salvarli dai suoi continui saccheggi. Accetta molto volentieri gli inviti a pranzo delle famiglie benestanti della città, solo perché riesce a far scivolare in una capace borsa quanto gli portano in tavola o quanto vede avanzato sulle tavole imbandite. E subito va a distribuire quanto raccolto nei tuguri dell'Oltretorrente (storicamente il quartiere delle classi più povere), scegliendo di preferenza quelli in cui ci siano dei bambini o dei malati. I commercianti di Parma gli lasciano far la spesa nei loro negozi, cioè appropriarsi di beni di prima necessità senza pagare il conto, perché di soldi quel frate non ne ha mai.

Numerosi sono i derelitti che lo vanno a cercare in convento, creando scompiglio tra i confratelli i quali sono ormai rassegnati ad accettare che, in barba ad ogni regola di clausura, nella cella di Padre Lino trovano riparo poveracci raccattati per strada nelle sere d’inverno, ai quali, naturalmente, il frate cede il suo pagliericcio e la sua coperta, mentre lui si accuccia sul nudo pavimento. Per questo i confratelli tirano un sospiro di sollievo quando Padre Lino viene nominato cappellano del carcere cittadino di San Francesco, perchè è lì che decide di trasferirsi. Il frate, invece, non fa una piega nell'adattarsi al suo nuovo alloggiamento: occupa una cella del tutto simile a quella dei detenuti i quali sono piuttosto allergici ai preti ed a quanto sa di chiesa, ma non a Padre Lino, perché da lui si sentono amati. Si spende infatti per migliorare le loro condizioni carcerarie, per addolcire e umanizzare le guardie e per trovare un lavoro quando escono dal carcere. Arriva ad infiltrarsi nei cortei anticlericali per sedare le risse e calmare gli animi, e così per i Parmigiani diventa il frate più buono che ci sia e nessuno oserebbe toccarlo neppure con un dito.

Il 14 maggio 1924, dopo una giornata dal ritmo sostenuto come sempre, viene stroncato da un infarto all’interno del pastificio Barilla, dov’è andato a cercar lavoro per uno dei suoi tanti disoccupati.

La salma di Padre Lino viene portata all’interno del carcere, per l’ultimo abbraccio dei suoi detenuti che gli preparano la bara con le loro stesse mani. Viene sepolto nel cimitero cittadino della Villetta, e il giorno dei funerali tutta la città di Parma si ferma per salutare quel frate che, seppur spettinato, mal rasato e dal saio logoro e stinto, è considerato fortemente indiziato di santità.

A distanza di quasi un secolo dalla sua morte, la devozione verso Padre Lino rimane più che mai viva tra i fedeli parmigiani tanto che, nonostante non sia ancora stato elevato agli onori degli altari (il processo di beatificazione avviato nel 1942 non è andato oltre alla dichiarazione di Venerabile della Chiesa nel 1999) è considerato un Santo dai Parmigiani.

La testimonianza di carità è stata raccolta e tuttora portata avanti dai Frati Minori dell’Annunziata insieme ai volontari che quotidianamente preparano il cibo ai tanti poveri che bussano alla porta della Mensa dei Poveri, dedicata proprio a Padre Lino.


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